A cura dell’Avv. Federica Lombardo
La produzione e commercializzazione di prodotti alimentari destinati non più a mercati locali, bensì globali, ha comportato la necessità, per i legislatori, nazionale e comunitario, di elaborare e adeguare gli strumenti legislativi a una più efficace tutela dei cittadini e quindi consumatori nelle ipotesi di acquisto e consumo di prodotti alimentari “difettosi”.
Soprattutto nel corso degli ultimi anni, sono diventati sempre più frequenti i casi, che hanno avuto anche risonanza mediatica, di messa in commercio di prodotti contaminati da batteri, insetti o semplicemente non correttamente confezionati e conservati (si pensi al recente caso del burro “Granaloro” o ai lotti di pesce congelato ritirati dalla “Carrefour” nel 2019 per contaminazione da mercurio).
In tal senso, la legislazione nazionale e comunitaria si è concentrata sulla responsabilità del produttore, il quale risponde del danno procurato al consumatore in via oggettiva o, in via sussidiaria, del fornitore – cioè colui che ha messo in vendita il prodotto difettoso – nell’ipotesi in cui il produttore non sia facilmente individuabile o laddove, decorsi tre mesi dalla richiesta da parte del consumatore, il fornitore non fornisca le generalità del produttore.
Oggi, il produttore risponde dei danni cagionati al consumatore da prodotto difettoso ai sensi dell’art. 118 Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005).
Il summenzionato testo normativo è il frutto di un processo di recepimento e rielaborazione della normativa comunitaria dettata in materia dalla Direttiva Ce 85/734, dal Regolamento UE 182/2002.
Rispetto, tuttavia, alla normativa comunitaria che istituiva una responsabilità oggettiva al produttore che avesse messo in commercio prodotti alimentari fossero il frutto di trasformazione o di manipolazione, il Legislatore Italiano con il D.Lgs. 206/2005 giunge a ricomprendere nella nozione di “prodotto” anche i prodotti della filiera agro – alimentare non necessariamente soggetti a manipolazioni e/o trasformazioni durante il processo produttivo, quindi, provenienti dall’allevamento, agricoltura, caccia e pesca.
Inoltre, nell’approntare un adeguato meccanismo di tutela in favore dei consumatori, il Legislatore nazionale si è spinto ancora oltre rispetto alla normativa comunitaria, ricomprendendo nell’alveo dei soggetti chiamati a rispondere per i danni recati al consumatore finale anche l’importatore del prodotto.
L’importatore è infatti chiamato ad approntare un sistema di controlli e verifiche sui prodotti importati tali da assicurare il rispetto della normativa comunitaria e nazionale in materia di sicurezza alimentare; sistema di controlli che si distingue, facendosi più o meno stringente, a seconda che il prodotto sia importato da un paese membro dell’Unione Europea o da paese extra UE.
Il tutto fatto salvo e impregiudicato il divieto assoluto contenuto nella L. 283/1962, di introdurre nel nostro Paese alimenti e bevande non rispondenti ai requisiti prescritti dalla medesima legge. L’inosservanza del divieto e il conseguente danno subito dal consumatore per l’introduzione e il consumo nel mercato nazionale di alimenti e bevande vietate fa sì che l’importatore ne risponda a titolo di colpa.
Richiamati gli opportuni riferimenti normativi, occorre adesso volgere l’attenzione sui rimedi esperibili dal consumatore nell’ipotesi di acquisto di un alimento contaminato o difettoso.
Preliminarmente, si rende necessario chiarire cosa si intende per “alimento difettoso”.
Al riguardo, la nozione viene fornita dalla Direttiva 85/734 CEE, che all’art. 6 dispone così: “un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui:
a) La presentazione del prodotto;
b) L’uso al quale il prodotto può essere legittimamente destinato;
c) Il momento della messa in circolazione del prodotto.
Un prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato messo in circolazione successivamente ad esso”.
Postulato che un prodotto contaminato o difettoso determina il diritto per il consumatore di ottenere il risarcimento dei danni, bisogna comprendere quali siano i termini e le modalità concrete di esperimento della tutela consumeristica.
L’art. 132 del Codice del Consumo nello specifico introduce una presunzione legale in ordine all’esistenza del danno, prevedendo che se il difetto si verifica entro 6 mesi dall’acquisto si ritiene che sussista già a tale data, per cui il consumatore dovrà semplicemente provare l’esistenza del danno, mentre il produttore potrà liberarsi dimostrando di aver consegnato un prodotto conforme e idoneo.
Superato il termine dei 6 mesi, torneranno ad applicarsi le regole generali contenute nel Codice Civile.
L’art. 120 del D. Lgs. 206/2005 prevede che il consumatore che lamenti di essere danneggiato da un prodotto difettoso deve dimostrare il difetto, il danno e il nesso di causalità fra i due, ovvero il rapporto causa – effetto.
La prova del nesso eziologico tra difetto e danno, secondo quanto chiarito dalla Corte di Cassazione 1, può essere fornita con ogni mezzo, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.
Di contro, il produttore potrà, ai sensi dell’art. 118 del medesimo testo normativo, esonerarsi da ogni responsabilità se in grado di fornire la prova liberatoria dimostrando, in sostanza, che alcun difetto sussisteva nel momento in cui il prodotto veniva messo in circolazione o che, alternativamente, in quel momento il difetto non era conoscibile sulla base delle conoscenze tecnico – scientifiche.
Ebbene, venendo al cuore della questione, deve precisarsi che il consumatore può esperire la tutela risarcitoria è subordinata a un termine di decadeza di 3 anni, come stabilito dall’art. 125 del Codice del Consumo.
Tale disposizione prevede che il termine decorra dal giorno in cui il consumatore ha avuto – o dovrebbe aver avuto – conoscenza del danno, del difetto e dell’identità del responsabile.
In ogni caso il diritto risarcitorio si estingue decorsi 10 anni – secondo quanto stabilito dal successivo art. 126 – da quanto il produttore o l’importatore dell’Unione Europea hanno messo in circolazione il bene che ha causato il danno.
La decadenza può essere impedita solamente dall’esercizio della relativa azione giudiziaria nei confronti di uno dei responsabili, senza tuttavia che ciò abbia effetto sugli altri.
Sul punto deve sempre tenersi a mente che il regime di responsabilità appena illustrato, oltre ad avere carattere oggettivo (che quindi prescinde dall’esistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa) ha anche natura solidale, ovvero è una responsabilità che può coinvolgere più professionisti, ciascuno responsabile di un determinato settore di filiera attraversato dall’alimento danneggiato.
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1 Cass. Civ. n. n. 13458/2013; Cass. Civ., n. 25116/2010; Cass. Civ., n. 6007/ 2007, Cass. Civ. n. 29828/2018.
Orbene, il termine decennale di decadenza individuato dall’art. 126 Cod. Cons. decorre dalla messa in circolazione del prodotto, decorsi i quali il produttore non potrà più essere citato per i danni, pertanto, dovrà essere onere del consumatore che lamenti un danno derivante da quello specifico prodotto accertare quale sia la data di messa in circolazione dello stesso, onde evitare un’eccezione di decadenza da parte del produttore – convenuto.
L’art. 123 del medesimo testo di legge è rubricato “danno risarcibile” e individua le tipologie di danno da prodotto difettoso che possono dare luogo alla tutela risarcitoria.
Trattasi in particolare del danno da morte o lesioni personali e il danno da deterioramento o distruzione di una cosa diversa dal prodotto difettoso, purché di tipo normalmente destinato all’uso o consumo privato e così principalmente utilizzata dal danneggiato.
La stessa norma, infine, precisa che il danno alle sole cose è risarcibile nella misura in cui “superi la somma di euro trecentottantasette”.
Naturalmente, le disposizioni appena citate non derogano in alcun modo ad altre disposizioni di legge a tutela di ulteriori diritti del consumatore (art. 127 D. Lgs. 206/2005).