A cura dell’Avv. Stefano Mandalà
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Notaio A. F., rappresentato e difeso dall’Avv. Stefano Mandalà in data 20.1.2016 proponeva ricorso presso la C.T.P. di Palermo avverso la cartella n. xxxxxxxxxxxxxxxx afferente a ritenute di acconto portate in deduzione dal reddito nell’anno di imposta 2012 a seguito di controllo ex art. 36 ter del dpr 600/73.
La Ctp di Palermo si dichiarava territorialmente incompetente in favore della TP di Trapani.
Con ricorso in riassunzione depositato il 6.2.2020 il ricorrente adiva, pertanto, questa Commissione.
La materia del contendere riguarda il recupero di imposte scaturenti da ritenute operate, ma non risultanti versate dai sostituti di imposta e per le quali non erano state allegate le relative dichiarazioni.
Il ricorrente produceva all’Ufficio tutte le fatture e mentre per alcune l’Ufficio riscontrava l’effettivo assoggettamento a ritenuta, escludendole dal recupero per altre non riteneva sufficiente la prova fornita dal ricorrente e costituita dalle fatture e dagli assegni bancari correlati ed abbinati agli importi.
Ritiene, infatti, l’Ufficio che gli assegni non costituiscono prova certa dell’effettivo assoggettamento a ritenuto e che solo l’esibizione di estratti conto avrebbero potuto provare il pagamento al netto delle ritenute.
All’udienza del 26 novembre 2021 la controversia veniva, sulle conclusioni rappresentate dalle parti, posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Orbene, è il caso di ribadire, per orientamento costante giurisprudenziale che l’inosservanza dell’obbligo del sostituto d’imposta di inviare tempestivamente la suddetta certificazione non toglie comunque al contribuente sostituito il diritto di provare la reale entità della base imponibile, evitando la duplicazione di un’imposizione già scontata alla fonte (cfr., Cass., 4/08/1994, n. 7251).
D’altronde l’art. 22 del Dpr. n. 917 del 1986, relativo appunto allo scomputo delle ritenute d’acconto, subordina del resto la detrazione dall’imposta delle ritenute alla sola condizione che esse siano state “operate”, sicché assume rilevanza il fatto oggettivo della loro applicazione, che può essere comprovato non solo con la certificazione rilasciata dal sostituto di imposta, ma anche con altri mezzi di prova equipollenti.
E in questo senso si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 68/E del 19 marzo 2009, con la quale ha riconosciuto che, laddove il contribuente non abbia ricevuto, nei termini di legge, dal sostituto d’imposta la certificazione delle ritenute effettivamente subite, questi è comunque legittimato allo scomputo delle stesse, “a condizione che sia in grado di documentare l’effettivo assoggettamento a ritenuta tramite esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione, proveniente dalle banche o altri intermediari finanziari, idonea a comprovare l’importo del compenso netto effettivamente percepito, al netto della ritenuta, così come risulta dalla predetta fattura”.
La norma sul controllo formale delle dichiarazioni, usualmente intesa come fonte del recupero delle ritenute non certificate, deve essere quindi integrata secondo i princìpi generali della prova, potendo gli uffici finanziari (e a fortiori i giudici tributari) apprezzare anche prove diverse dal certificato (Cass., sez. 5, 7/06/2017, n. 14138).
L’Agenzia delle Entrate, rilevava però, all’esito della produzione, che la stessa non era adeguata e sufficiente a comprovare gli importi dei compensi effettivamente percepiti non essendo sufficienti le fatture e i corrispondenti assegni bancari.
Ritenendo, altresì, che, nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute d’acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dall’art. 35 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute” (Cass. Sentenza n. 17475 del 17 giugno 2021) la questione in esame rimane circoscritta alla valenza probatoria della documentazione prodotta dal ricorrente e principalmente agli assegni bancari abbinati alle fatture.
Sul piano sostanziale, quindi, la legittimità della detrazione è subordinata alla sola condizione che esse siano state effettivamente “operate” (art. 22 Dpr. n. 917/1986), laddove il fatto storico (decurtazione del corrispettivo), pur potendo essere provato, tipicamente, mediante la certificazione di chi ha operato la ritenuta può essere comunque provato anche con mezzi equivalenti da chi la ritenuta ha subito.
L’assegno bancario e/o circolare, ad avviso del Collegio, è elemento sufficiente a dimostrare il pagamento della fattura al netto delle ritenute, e il contribuente non può essere onerato di ulteriori prove non essendo, tra l’altro, in materia prevista una inversione dell’onere probatorio e ciò per di più quando l’Ufficio è già in possesso anche dei modelli 770 dei sostituti di imposta.
Il ricorso, pertanto, può trovare integrale accoglimento.